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ARCHIVIO STORICO DELLE ECONOMISTE E DEGLI ECONOMISTI

Guida archivistica alle carte e alle corrispondenze degli economisti italiani


ARCHIVIO STORICO DELLE ECONOMISTE E DEGLI ECONOMISTI


Aristotele  




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Documento [Appunti vari - minuta di Allocati]

Questo quaderno è contrassegnato da Allocati con il n. 8 e contiene la trascrizione, da lui fatta nel periodo 7 settembre 1958 - 28 settembre 1958, di passi tratti da manoscritti di Broggia conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Nella c.1 Allocati completa gli appunti sulle infrastrutture necessarie al commercio iniziati nel quaderno precedente (cfr. 2.13.9 cc. 35v-38v). Nelle carte successive Allocati trascrive minute varie di Broggia sui seguenti argomenti: a) il commercio interno ed i mali che affliggono l'agricoltura (cc. 1v-3v); b) le colonie e lo schiavismo (cc. 3v-4v); c) la storia delle monete (cc. 5-6v); d) osservazioni di Tito Livio, Erodoto, Aristotele (c. 7); le monete immaginarie e l'aggio (cc. 10-14v). Nelle carte 15-20 vi è la trascrizione degli argomenti delle diciannove Lettere salutari che Broggia asserisce di aver scritto per confutare le tesi di Ascanio Centomani e Giuseppe Aurelio Di Gennaro (cfr. 1.3.5). Nel quaderno si trova, inoltre, parte di una lettera di Muratori a Broggia del 27 febbraio 1746 (cc. 21-24), poi dattiloscritta da Allocati (cfr. 1.6.13) e pubblicata da Campori, nonché uno scritto sulla Pantelleria che Allocati riassume (cc. 24v-28v) poiché si ripromette di farvi cenno in una nota al "trattatello trascritto nel quaderno n. 4" (v. 2.13.6) e non può, a questo scopo, servirsi dell'originale "lungo e inutilmente prolisso". Le cc. 29-31, infine, sono la trascrizione parziale di una memoria, quasi per intero copiata nel quaderno n. 11 (v. 2.13.13), di attribuzione incerta (cfr. 1.11.3). Nel titolo, infatti, l'estensore appare essere un tal canonico Giovan Battista Maxucco, il quale si rivolge al Supremo Tribunale del Reale Patrimonio in difesa degli abitanti di Pantelleria, vessati dai pesanti tributi imposti loro dal feudatario dell'isola. Secondo un'annotazione di Allocati, però, lo scritto potrebbe essere dello stesso Broggia, anche se successivamente egli sembra cambiare parere scrivendo (v. 1.11.3 c. 6) che "lo stile...induce a respingere l'idea".

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Documento La vita civil-economica o sia il vero essere del sapere e del potere. Tomo IV

Copia manoscritta dell'originale di Broggia custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo. Nella prima parte di questo scritto, e cioè "L'intemperanza delle lettere", Broggia svolge alcuni temi ricorrenti nella sua produzione. La vita civile economica non ha bisogno di essere "soverchievolmente colta" (cfr. 2.14.3, c. 453v). Anzi, consistendo "il vero sapere e la vera scienza..." nell' "operare", spesso "sa più il popolo, perché sa il necessario, che non sanno moltissimi letterati" (cfr. 2.14.3, cc. 453v-454). Le lettere diventano "intemperanti" quando disprezzano "il necessario stimato come volgare per apprendere l'astruso e il superfluo" (cfr. 2.14.3, c. 454v). L'apprendimento in tal caso non è finalizzato all'agire, cioè ad essere industriosi, ma a mera curiosità o vanità. Coloro i quali sono dediti a questo tipo di apprendimento non sanno operare, quindi sono ignoranti poiché non sanno e non producono nulla di quanto è necessario. Broggia trova sostegno alle sue argomentazioni anche nei padri della Chiesa. Nel pensiero di San Paolo, "l'eccedente coltura" è vana, mentre "la carità... edifica". Ma la carità per San Paolo è concetto comprensivo di quello di industriosità, perché il lavoro consente all'uomo di "poter mantenere se stesso" che è "carità verso se stesso" e da ciò "ne viene che possa poi farsi ad altri in varie guise la carità" (cfr. 2.14.3, c. 457v). "La carità" è, pertanto, feconda, ed in questo senso "edifica, inalzando le case e moltiplicando le famiglie, e dilatando e felicitando gli Stati per mezzo dell'amor dell'industria e della vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 458). Il discorso sulla nocività dell'eccessiva cultura prosegue con esempi tratti dalla vita di Temistocle, Solone e Focione, tutti illustri uomini politici, che perseguirono il bene dello Stato e che a tal fine avviarono importanti riforme legislative, economiche e sociali. La Grecia, così come Roma, fu resa ricca e potente da uomini come loro, uomini eminentemente pratici, non teorici. Alessandro, invece, che aveva avuto come precettore Aristotele, fuorviato, secondo Broggia, dalla sua formazione teorica, nell'inseguire il sogno di un impero universale, conquistò immensi territori ma non ne promosse poi lo sviluppo civile ed economico. Egli non riuscì insomma ad informare la sua azione al criterio dell'armonia tra le esigenze militari, civili ed economiche, ciò che Broggia chiama il "triplice agibile" (cfr. 2.14.2, cc.415-452). Broggia in verità ammette che vi siano in Europa degli Stati ugualmente grandi per la loro potenza militare ed economica e per lo splendore raggiunto dalle loro lettere, ma aggiunge subito che la storia insegna che "anco al tempo di Cicerone...chi si fusse trovato in detto tempo avrebbe potuto dire che si godesse già la calma e che le lettere erano la tutela ed il maggior splendore della Repubblica". Nondimeno, prosegue, "le lettere non salvarono anzi causarono fra pochi anni infortunii maggiori, quali furon quelli che dipesero dalle discordie sortite per la eccedente riflessione, che spinse l'ambizione di molti" (cfr. 2.14.3, c. 471). "Ora" si chiede Broggia " se mai vediamo che in un qualche Stato abbondando le lettere vi si gode la possanza e la calma, siamo noi sicuri, che questa possa durare e che dal tempo d'Augusto non si vada in quel di Tiberio, e da questo non si passi in qualche cosa di peggio?" (cfr. 2.14.3, c. 472). "L'intemperanza delle lettere" è insomma per Broggia causa sicura di rovina di uno Stato. Quando, dunque, le lettere sono "temperanti"? In presenza di "buoni libri [non] s'ha per questo a giudicare che vi sia intemperanza di lettere. Tai libri saranno...intesi a promuovere le arti sustanziali sì del commercio che della guerra, e così ancora a schiarirci la storia o pure a scoprire quel pelago di errori, ne' quali è incorsa l'eccedente riflessione de' letterati sì antichi, che moderni. Insomma s'affaticheranno a promuovere l'industria [e] la vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 472v). Quale allora l'educazione da dare ai giovani? Broggia è d'accordo con Fleury che essa debba essere impostata in modo da sviluppare in essi la conoscenza delle tecniche di lavorazione dei manufatti, il senso pratico e la percezione del valore delle cose "il che è la scienza delle scienze, perchè niuno v'è il quale sapendo dare un giusto prezzo alle cose non sappia perciò conoscer le persone e di esse misurarne il valore" (cfr. 2.14.3, c. 475). Nella seconda parte Broggia parla dell' "intemperanza delle leggi", ossia dell' "essersi resa l'arte di giurisprudenza un'arte intricatissima, e difficilissima, piena di cose astruse, e superflue, involta fra mille labberinti" (cfr. 2.14.3, c. 486), il che rende molto spesso vane la ragione e la giustizia. Anche l'intemperanza delle leggi, così come quella delle lettere, è causa di decadenza e di rovina degli Stati. Broggia a questo punto si preoccupa di chiarire che non è sua intenzione affermare che la cultura è cosa negativa, anzi "le lettere e le leggi [sono] cose del tutto necessarie e buone", in esse, "siccome in tutte le cose", è "l'eccesso" che "è sempre nocivo" ( cfr. 2.14.3, c. 508v). Nella terza parte Broggia parla della necessità per uno Stato di coltivare le arti della guerra, se non altro a fini di difesa e di tutela della pace. Egli però è dell'opinione che il servizio nell'esercito non debba durare più di qualche anno e che i soldati debbano tornare poi alle loro civili occupazioni. Ciò perché non dimentichino che il benessere degli individui, e quindi dello Stato, è dato proprio dalla giusta conciliazione delle attività civili, economiche e militari. Broggia cita a questo proposito Mecenate, il cui pensiero è per la verità contraddittorio. Mecenate, infatti, prima consiglia ad Ottaviano Augusto di mantenere un esercito regolare, costituito da militari di carriera (cfr. 2.14.3, c. 526v), mentre successivamente afferma la necessità di periodiche interruzioni nel servizio con relativo ritorno alla vita civile. E ciò proprio in virtù del principio per il quale uno Stato raggiunge la prosperità solo se i suoi governanti e i suoi abitanti posseggono in modo equilibrato virtù sia civili, sia economiche e militari (cfr. 2.14.3, c. 532v). Dei dodici foglietti allegati, n. 9 misurano mm. 80x105 e n. 3 mm. 105x118.

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Documento Scelta del titolo del nuovo lavoro di E.Rossi

Rossi propone come titolo al nuovo volume sui limiti e i problemi della pubblica amministrazione, "Lo Stato industriale", "Il cavallo di Ciolla", che, come egli stesso spiega a Franco Laterza nella lettera, non è tratto da alcuna citazione di Aristotele o San Tommaso, bensì un modo di dire popolare toscano, per indicare cosa o persona affetta da molti malanni. Poiché, tuttavia, conviene sulla difficoltà d'interpretare tale detto, cercherà un'alternativa.

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Documento [Appunti di lavoro - minute di Allocati]

Questo quaderno è contrassegnato da Allocati con il n. 7 e contiene la trascrizione, da lui fatta nel periodo 2 luglio 1958 - 21 agosto 1958, di passi tratti da più manoscritti di Broggia conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Dalle annotazioni di Allocati, sembra di capire che tali manoscritti trattino vari argomenti, e cioè: a) Venezia, carente militarmente, ma industriosa e ricca commercialmente, anche grazie alla sua localizzazione geografica. Le osservazioni di Broggia su Venezia come potenza militare nascono, secondo Allocati, dalla lettura di un testo di Nani, anche se il suo pensiero se ne discosta poi in parte (cfr. cc. 1 e 3v); b) il problema dei porti franchi (cc. 4-5 e 30v-35), che non giovano al commercio tanto è vero che, cita Allocati, "le più floride nazioni e specialmente gli inglesi pongono i dazi, ed anzi pesantissimi, su quelle merci idonee a sopportarli, senza pertanto pregiudicare il commercio", mentre Livorno col suo porto franco non arricchisce né l'Italia, né la Toscana (cc. 4-5); c) il commercio, che ha, così come ogni professione, delle logiche interne che dovrebbero essere conosciute e seguite da coloro che lo esercitano (c. 12); d) gli ecclesiastici (c. 29); e) il contrabbando (c. 31); f) riflessioni critiche sul pensiero di Cicerone, Aristotele, Platone, Saavedra (cc. 17v-24v); g) la Francia che, stanca di guerre, rivolge dei consigli a Ludovico XIV, suo re (cc. 25-26v); h) la controversia tra gli speziali di medicina e i droghieri sulla necessità per questi ultimi di possedere le prescritte licenze per la vendita di prodotti medicamentosi (cc. 27-30); i) Le infrastrutture necessarie al commercio (cc. 35v-38v).

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