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ARCHIVIO STORICO DELLE ECONOMISTE E DEGLI ECONOMISTI

Guida archivistica alle carte e alle corrispondenze degli economisti italiani


ARCHIVIO STORICO DELLE ECONOMISTE E DEGLI ECONOMISTI


Mecenate Gaio Cilnio




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Documento La vita civil-economica o sia il vero essere del sapere e del potere. Tomo IV

Copia manoscritta dell'originale di Broggia custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo. Nella prima parte di questo scritto, e cioè "L'intemperanza delle lettere", Broggia svolge alcuni temi ricorrenti nella sua produzione. La vita civile economica non ha bisogno di essere "soverchievolmente colta" (cfr. 2.14.3, c. 453v). Anzi, consistendo "il vero sapere e la vera scienza..." nell' "operare", spesso "sa più il popolo, perché sa il necessario, che non sanno moltissimi letterati" (cfr. 2.14.3, cc. 453v-454). Le lettere diventano "intemperanti" quando disprezzano "il necessario stimato come volgare per apprendere l'astruso e il superfluo" (cfr. 2.14.3, c. 454v). L'apprendimento in tal caso non è finalizzato all'agire, cioè ad essere industriosi, ma a mera curiosità o vanità. Coloro i quali sono dediti a questo tipo di apprendimento non sanno operare, quindi sono ignoranti poiché non sanno e non producono nulla di quanto è necessario. Broggia trova sostegno alle sue argomentazioni anche nei padri della Chiesa. Nel pensiero di San Paolo, "l'eccedente coltura" è vana, mentre "la carità... edifica". Ma la carità per San Paolo è concetto comprensivo di quello di industriosità, perché il lavoro consente all'uomo di "poter mantenere se stesso" che è "carità verso se stesso" e da ciò "ne viene che possa poi farsi ad altri in varie guise la carità" (cfr. 2.14.3, c. 457v). "La carità" è, pertanto, feconda, ed in questo senso "edifica, inalzando le case e moltiplicando le famiglie, e dilatando e felicitando gli Stati per mezzo dell'amor dell'industria e della vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 458). Il discorso sulla nocività dell'eccessiva cultura prosegue con esempi tratti dalla vita di Temistocle, Solone e Focione, tutti illustri uomini politici, che perseguirono il bene dello Stato e che a tal fine avviarono importanti riforme legislative, economiche e sociali. La Grecia, così come Roma, fu resa ricca e potente da uomini come loro, uomini eminentemente pratici, non teorici. Alessandro, invece, che aveva avuto come precettore Aristotele, fuorviato, secondo Broggia, dalla sua formazione teorica, nell'inseguire il sogno di un impero universale, conquistò immensi territori ma non ne promosse poi lo sviluppo civile ed economico. Egli non riuscì insomma ad informare la sua azione al criterio dell'armonia tra le esigenze militari, civili ed economiche, ciò che Broggia chiama il "triplice agibile" (cfr. 2.14.2, cc.415-452). Broggia in verità ammette che vi siano in Europa degli Stati ugualmente grandi per la loro potenza militare ed economica e per lo splendore raggiunto dalle loro lettere, ma aggiunge subito che la storia insegna che "anco al tempo di Cicerone...chi si fusse trovato in detto tempo avrebbe potuto dire che si godesse già la calma e che le lettere erano la tutela ed il maggior splendore della Repubblica". Nondimeno, prosegue, "le lettere non salvarono anzi causarono fra pochi anni infortunii maggiori, quali furon quelli che dipesero dalle discordie sortite per la eccedente riflessione, che spinse l'ambizione di molti" (cfr. 2.14.3, c. 471). "Ora" si chiede Broggia " se mai vediamo che in un qualche Stato abbondando le lettere vi si gode la possanza e la calma, siamo noi sicuri, che questa possa durare e che dal tempo d'Augusto non si vada in quel di Tiberio, e da questo non si passi in qualche cosa di peggio?" (cfr. 2.14.3, c. 472). "L'intemperanza delle lettere" è insomma per Broggia causa sicura di rovina di uno Stato. Quando, dunque, le lettere sono "temperanti"? In presenza di "buoni libri [non] s'ha per questo a giudicare che vi sia intemperanza di lettere. Tai libri saranno...intesi a promuovere le arti sustanziali sì del commercio che della guerra, e così ancora a schiarirci la storia o pure a scoprire quel pelago di errori, ne' quali è incorsa l'eccedente riflessione de' letterati sì antichi, che moderni. Insomma s'affaticheranno a promuovere l'industria [e] la vita civil economica" (cfr. 2.14.3, c. 472v). Quale allora l'educazione da dare ai giovani? Broggia è d'accordo con Fleury che essa debba essere impostata in modo da sviluppare in essi la conoscenza delle tecniche di lavorazione dei manufatti, il senso pratico e la percezione del valore delle cose "il che è la scienza delle scienze, perchè niuno v'è il quale sapendo dare un giusto prezzo alle cose non sappia perciò conoscer le persone e di esse misurarne il valore" (cfr. 2.14.3, c. 475). Nella seconda parte Broggia parla dell' "intemperanza delle leggi", ossia dell' "essersi resa l'arte di giurisprudenza un'arte intricatissima, e difficilissima, piena di cose astruse, e superflue, involta fra mille labberinti" (cfr. 2.14.3, c. 486), il che rende molto spesso vane la ragione e la giustizia. Anche l'intemperanza delle leggi, così come quella delle lettere, è causa di decadenza e di rovina degli Stati. Broggia a questo punto si preoccupa di chiarire che non è sua intenzione affermare che la cultura è cosa negativa, anzi "le lettere e le leggi [sono] cose del tutto necessarie e buone", in esse, "siccome in tutte le cose", è "l'eccesso" che "è sempre nocivo" ( cfr. 2.14.3, c. 508v). Nella terza parte Broggia parla della necessità per uno Stato di coltivare le arti della guerra, se non altro a fini di difesa e di tutela della pace. Egli però è dell'opinione che il servizio nell'esercito non debba durare più di qualche anno e che i soldati debbano tornare poi alle loro civili occupazioni. Ciò perché non dimentichino che il benessere degli individui, e quindi dello Stato, è dato proprio dalla giusta conciliazione delle attività civili, economiche e militari. Broggia cita a questo proposito Mecenate, il cui pensiero è per la verità contraddittorio. Mecenate, infatti, prima consiglia ad Ottaviano Augusto di mantenere un esercito regolare, costituito da militari di carriera (cfr. 2.14.3, c. 526v), mentre successivamente afferma la necessità di periodiche interruzioni nel servizio con relativo ritorno alla vita civile. E ciò proprio in virtù del principio per il quale uno Stato raggiunge la prosperità solo se i suoi governanti e i suoi abitanti posseggono in modo equilibrato virtù sia civili, sia economiche e militari (cfr. 2.14.3, c. 532v). Dei dodici foglietti allegati, n. 9 misurano mm. 80x105 e n. 3 mm. 105x118.

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